Cosa spinge gli haters ad assumere posizioni tanto estreme: alla base di tutto c’è una spiegazione psicologica molto interessante.
Mai come nell’era di Internet, il pregiudizio è un elemento che ha conseguenze molto incisive: chi non rientra nei canoni di un certo modo di pensare, vivere, agire, viene ‘bollato’ come nemico da insultare, offendere, denigrare e deridere. Quasi nessuno, oggigiorno, sembra più ricordarsi quel grande insegnamento espresso alla perfezione dai latini: “In medio stat virtus”.
Da quando i social hanno fatto irruzione nelle nostre vite, le divergenze di opinione hanno acquistato una risonanza di proporzioni gigantesche rispetto alle discussioni che fino a vent’anni fa avvenivano sulla panchina di una piazza, in ufficio tra colleghi o al bar. Ciò determina un proliferare di commenti negativi, al limite dell’insulto, sotto determinati post, notizie diffuse dai giornali, foto, ecc.
Eppure, proprio i social potrebbero essere invece una meravigliosa opportunità per osservare e comprendere anche idee diverse dalle proprie. Solo ascoltando chi ragiona in maniera diversa ci si può fare un’idea davvero chiara di certe tematiche. Invece, nonostante la pluralità di informazioni a cui abbiamo accesso, tendiamo a prestare attenzione solo a quelle che non si discostano dai nostri preconcetti. All’origine di questo fenomeno, come per tanti altri atteggiamenti umani, c’è una spiegazione che riguarda la psiche.
L’esposizione selettiva all’origine del comportamento degli haters: lo studio
Come spiegava lo psicologo Leon Festinger negli anni Cinquanta, le persone a cercare in linea di massima ciò che è in linea con le loro idee per evitare il disagio che provocherebbe la dissonanza cognitiva. Prediligiamo perciò le informazioni di conferma, ovvero quelle a favore dei nostri punti di vista. Cambiare questi ultimi richiederebbe uno sforzo che non siamo quasi mai disposti a fare. Basti pensare alla scelta di seguire questo o quel giornale o programma tv in base allo schieramento politico che determina poi il modo di affrontare temi come l’aborto, l’immigrazione, ecc.
Anche uno studio dell’Universitat Ramon Llull ha dimostrato quanto sia difficile porre fine a questo meccanismo che la mente umana mette in atto per evitare di uscire dalla propria zona di comfort. All’esperimento hanno partecipato 2.000 persone a cui sono state poste delle domande sull’importanza della presenza nella società di varie culture ed etnie.
Era possibile scegliere tra leggere otto tesi sull’argomento basate su idee opposte alla propria o viceversa. I partecipanti che accettavano di leggere le argomentazioni contrarie ricevevano 10 euro, quelli che sceglievano di leggere le argomentazioni coerenti con le proprie idee vincevano 7 euro. Dopo cinque mesi, i partecipanti dovettero rispondere ad un questionario per analizzare le loro opinioni sulla diversità a distanza di tempo.
Il risultato mostrò che il 58,6% delle persone avevano un bias di esposizione selettiva perché avevano scelto di leggere solo argomentazioni a favore delle loro idee nonostante la minore somma di denaro prevista. Ebbene, dopo tempo le loro opinioni sull’aiuto ai rifugiati erano più negative rispetto a quelle di coloro che invece, pur essendo contrari, avevano accettato di leggere tesi basate su argomenti opposti.
Dallo studio emerse quindi che, in parte, le opinioni negative derivano in parte anche dal rifiuto di informazioni positive. Un atteggiamento che sarebbe meglio cercare di limitare per evitare di diventare facilmente manipolabili.