La riforma al Reddito di Cittadinanza approvata nella Manovra sarà attiva dall’1 gennaio 2023, cosa cambia e chi perde il sussidio.
L’abolizione del Reddito di Cittadinanza – Riforma bandiera del Movimento 5 Stelle nelle elezioni politiche del 2018 – è stato uno dei cavalli di battaglia dell’ultima campagna elettorale sia per Fratelli d’Italia che per la Lega. Una volta formato il governo, l’esecutivo si è concentrato sulla Manovra 2023 e tra le varie riforme proposte c’è pure l’uscita dal reddito per quei percettori che risultano abili al lavoro. Inizialmente si era pensato di togliere il sussidio ai percettori sin dal primo gennaio del prossimo anno, ma il Ministro del Lavoro ha ritenuto che sarebbe stato iniquo nei confronti di chi, in questo lasso di tempo, non avrebbe potuto sostituirlo con un lavoro.
Ecco dunque che nella sua forma finale, la riforma del Rdc prevede un’uscita soft per quei percettori che non hanno disabilità. Inizialmente il calcolo degli esclusi prevedeva l’uscita di tutti in forma indiscriminata, ma nella forma attuale, la riforma prevede che chi ha nel nucleo familiare un minore o un disabile, non verrà incluso nell’uscita soft. Non verranno esclusi dal Reddito di Cittadinanza nemmeno quei cittadini che, sebbene abbiano ottenuto un posto di lavoro, sono percettori di uno stipendio troppo basso. Per questi infatti, il sussidio rimarrà come integrazione dello stipendio.
Reddito di Cittadinanza, come cambia il sussidio e quando verrà abrogato
Insomma se la platea di percettori da escludere dal sussidio inizialmente era calcolata in 800 mila beneficiari, fatte le dovute diversificazioni, la riforma taglierà all’incirca 500mila persone. Come detto non si tratterà di un’esclusione forzata e in tempi brevi, ma di un’uscita soft, durante la quale si cercherà di fare ottenere a queste 500mila persone un lavoro con il quale sostentarsi.
Stando a quanto emerso finora, queste persone continueranno a percepire il Reddito di Cittadinanza anche nel 2023, ma solo per 8 mesi e non più per 18 mesi rinnovabili in caso di condizione lavorativa invariata. Allo scadere degli 8 mesi, dunque, coloro che non hanno ottenuto un lavoro si troveranno senza il sussidio. La speranza di tutti è che nel lasso di tempo previsto per l’uscita, il governo riesca a proporre a tutti i percettori un’offerta lavorativa che consenta loro di potersi sostentare.
Nei progetti c’è l’attuazione di un piano di inserimento al mondo del lavoro che passerà attraverso un corso di formazione obbligatorio. Al termine dei corsi di formazione, i percettori del reddito riceveranno un’offerta lavorativa e non avranno possibilità di rifiutarla. Se fino ad oggi i cittadini avevano la possibilità di rifiutare una prima offerta non ritenuta congrua, adesso al rifiuto corrisponderà la sospensione del sussidio.
I dubbi sulla riforma e le proteste del Movimento 5 Stelle
La decisione del governo Meloni ha creato non pochi malumori e anche parecchi dubbi sulle soluzioni adottate per l’uscita dal Reddito di Cittadinanza. Il problema principale riguarda l’unica offerta di lavoro, che viene definita dal testo della riforma “congrua”. Bisogna infatti considerare che tra questi 500 mila che saranno interessati dal taglio, circa il 75% dei percettori ha la licenza media e che il 76% di loro non lavora da oltre 3 anni. Con le competenze ed il livello di istruzione che possiedono l’80% di loro sarà costretto ad accettare posti di lavoro a tempo determinato o contratti stagionali, soluzioni tampone che porteranno gli stessi ad essere disoccupati dopo la scadenza del contratto.
C’è inoltre da considerare la forte incidenza di cittadini del sud Italia che percepiscono il sussidio. Tra i percettori interessati dal taglio, infatti, circa il 67% sono del sud. Un dato decisamente indicativo, visto che proprio al sud ci sono le maggiori difficoltà a trovare un posto di lavoro e che proprio nel Meridione sarà complicato fare ottenere a questi cittadini un posto di lavoro congruo, che non si tratti di qualcosa che dopo qualche mese finisce e li lascia in stato di povertà.
La soluzione prospettata dal governo non è ritenuta equa dal Movimento 5 Stelle, il quale per voce del suo leader Giuseppe Conte ha deciso di dare battaglia alla maggioranza sull’abolizione del reddito. L’ex premier ritiene che il taglio dei percettori è un’ingiustizia nei confronti dei cittadini che sono più in difficoltà, dato che la maggior parte di loro sono persone di 50 o 60 anni che non potrà trovare facilmente impiego nei prossimi mesi. Mentre 200mila tra quelli considerati, sono persone che già lavorano ma hanno uno “stipendio da fame”. Per questo nei prossimi mesi l’M5S scenderà in piazza per protestare contro la riforma e la successiva abolizione del Reddito di Cittadinanza.