Sinisa Mihajlovic non ce l’ha fatta, il tecnico è stato sconfitto dalla leucemia: il dramma di una malattia difficile da sconfiggere.
La notizia della morte di Sinisa Mihajlovic, ex calciatore e allenatore di calcio, è giunta poco fa con un comunicato della famiglia. Che la battaglia contro la leucemia mieloide che gli è stata diagnosticata nell’estate del 2019 sarebbe stata dura era chiaro sin da quando lui stesso ha comunicato alla stampa il male contro quale doveva combattere. Nonostante l’infausta diagnosi, Sinisa aveva dimostrato la consueta determinazione, dicendosi fiducioso che anche questa volta avrebbe potuto avere la meglio.
Per un momento è sembrato che fosse così. Il primo ciclo di cure aveva dato esiti positivi, il suo corpo aveva risposto bene ed il tecnico era tornato alla sua vita normale. In questi anni ha lavorato duramente sulla panchina del Bologna, togliendosi enormi soddisfazioni professionali, e si è goduto il tempo con la moglie e con i cinque figli, ai quali era legatissimo. Purtroppo, però, come troppo spesso capita in caso di tumore, la malattia è tornata a bussare in forma ancora più violenta.
L’annuncio è stato dato sempre da Sinisa a marzo di quest’anno. Il tecnico ha dichiarato che si sarebbe dovuto allontanare dai campi di calcio per affrontare un nuovo ciclo di cure e da quel momento non si è saputo più nulla. Il silenzio era di per sé un brutto segnale, un segnale che divenuto terrificante quando Clemente Mimun, storico giornalista Rai, ha pubblicato su Twitter poche parole, ma sufficienti a fare capire che la situazione era grave: “Forza Sinisa”.
L’altroieri su Twitter si era sparsa la voce che per il tecnico non c’era più nulla da fare. Non è chiaro se queste voci provenissero da qualche fonte vicina all’allenatore, ma il tweet del direttore di Radio Radio aveva fatto tirare un sospiro di sollievo e ridato speranza a tutti: “Alle 11.53 Sinisa #Mihajlovic è stabile. Le notizie che rimbalzano nelle chat sono totalmente false. Vero è che nelle ultime ore le sue condizioni di salute sono peggiorate. È circondato dall’affetto dei suoi cari che lo confortano. Questa corsa all’annuncio è raccapricciante”. Purtroppo quella speranza si è spenta nelle scorse ore. Non possiamo che offrire le nostre condoglianze ad amici e parenti in questo momento di profondo dolore e sconforto che stanno vivendo e che perdurerà a lungo.
La diagnosi di Mihajlovic era “Leucemia mieloide acuta“. Si tratta di una forma di leucemia che colpisce la linea mieloide delle cellule del sangue e comporta una produzione esponensiale di globuli bianchi di forma anormale che si accumulano nel midollo osseo e bloccano la formazione di cellule sanguigne normali. Più tardi questa malattia viene scoperta e più difficile è contrastarne gli effetti nocivi per l’organismo. Queste cellule cancerose, infatti, oltre a sostituire globuli rossi, bianchi piastrine nel midollo osseo, continuano a riprodursi a grande velocità e raggiungono attraverso il sangue anche altri organi.
Una volta diagnosticata la malattia è necessario procedere con la chemioterapia per la recessione del cancro e nei casi più gravi anche per un ciclo di chemio atto ad evitare la recidiva, contrastata in alcuni casi con il trapianto di cellule staminali allogene. Molti dei soggetti che sviluppano questa malattia muoiono nel giro di poche settimane o mesi. Se presa in tempo e trattata con una terapia appropriata, il 20-40% dei soggetti riesce a vivere almeno 5 anni senza recidiva. In caso di trattamento intensivo il 40-50% dei soggetti riesce a vivere altri 5 anni senza rischio di recidiva.
Il problema principale, così come successo a Mihajlovic, è proprio il ripresentarsi della malattia. Quando si verifica la recidiva, le cellule cancerose sono più forti e resistenti e la chemioterapia è meno efficace nel contrastarne diffusione e la proliferazione. Attualmente non esistono trattamenti più efficaci di quelli illustrati e come per ogni tipologia di cancro l’unico modo per avere maggiori chance di sopravvivenza è la prevenzione. Per questa ragione la ricerca è così importante, gli studi permettono di capire se ci sono metodi di contrasto più efficaci e esami preventivi che possano permettere di evitare l’insorgere della malattia o di trattarla prima che si diffonda nell’organismo.
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