Il nuovo governo si ritrova tra le mani la patata bollente delle pensioni: quota 102, opzione donna e ape sociale sono in scadenza e il futuro è una grande incognita…
Proroga o riforma? Parafrasando William Shakespeare, è questo il problema. Quota 102, opzione donna e ape sociale sono tre dei principali nodi – ma non gli unici – che il nuovo governo dovrà affrontare sul versante delle pensioni. Vediamo la questione più da vicino.
Il primo punto all’ordine del giorno è il finanziamento dell’indicizzazione di tutte le pensioni al costo della vita: una manovra che richiederà per il prossimo anno circa 9 miliardi di euro in più, complice l’inflazione superiore alle vecchie previsioni. Poi ci sono importanti decisioni da prendere sul dopo Quota 102, in scadenza il prossimo 31 dicembre, e sull’eventuale proroga di altri due formule di pensionamento anticipato, opzione donna e ape sociale. Quanto alle questioni di medio-lungo periodo, riguardano l’andamento della spesa previdenziale, destinata a crescere per motivi strutturali (il drammatico invecchiamento demografico) e congiunturali (la già citata inflazione) nonostante le tante riforme. La carne al fuoco, come si vede, è tanta…
La spesa pensionistica, che quest’anno è stata di 297,3 miliardi, salirà in termini assoluti a 320,8 miliardi nel 2023, a 338,3 nel 2024 e a 349,8 nel 2025: oltre 50 miliardi in più in 3 anni, per arrivare a un’incidenza sul Pil stimata al 16,4% nel 2025. Mentre l’adeguamento degli assegni, a partire da gennaio 2023, sulla base dell’inflazione (quella acquisita a settembre è già al 7,1%) e secondo l’attuale sistema che garantisce la rivalutazione al 100% delle pensioni di importo fino a 4 volte il minimo (ossia circa 2.100 euro al mese), costa 23-24 miliardi, circa 9 in più rispetto alle previsioni, che dovranno essere assicurati dal governo con la prossima manovra di Bilancio.
Quota 102, lo ricordiamo, consente di lasciare il lavoro a 64 anni con 38 anni di contributi; opzione donna permette di andare in pensione con 58 anni d’età (59 per le autonome) e 35 anni contributi raggiunti nel 2021; con ape sociale determinate categorie di lavoratori svantaggiati possono uscire a 63 anni e 30/36 anni di versamenti. In caso di mancata proroga, resteranno i normali requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni d’età e 20 di contributi) e per quella anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi – un anno in meno per le donne – a prescindere dall’età).
Va detto che questi canali privilegiati sono utilizzati da pochi lavoratori (circa 10mila, per rendere l’idea, quelli andati in pensione con Quota 102 nel 2022). Ma le generose promesse del centrodestra in campagna elettorale – dall’estensione di opzione donna agli uomini, proposta da Fratelli d’Italia, a Quota 41 lanciata dalla Lega – farebbero salire di molto il conto finale.
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